Esternalizzazione: le novità della Corte di Cassazione

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Terminate le vacanze continuiamo la nostra rassegna giurisprudenziale su un tema molto caldo, quello dell’esternalizzazione.

Infatti, come abbiamo avuto modo di ricordarvi più volte in questi mesi obiettivo primario dell’attività ispettiva è di scovare situazioni patologiche in cui datori di lavoro affidano a terzi parte della loro attività, di fatto “affittando” manodopera altrui.

Anche la giurisprudenza di recente ha ribadito la propria posizione sul tema del c.d. APPALTO “LEGGERO”; la Corte di cassazione (Sez. Lavoro), con la recente sentenza n. 18945/2025, è tornata ad affrontare il tema – tanto discusso – della genuinità degli appalti ad alta intensità di manodopera (i cd. labour intensive).

👉 Il principio di diritto affermato è chiaro:
“Affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ex art. 29, co. 1, d.lgs. 276/2003, è necessario verificare che all’appaltatore sia affidata la realizzazione di un risultato autonomo, con una propria organizzazione del lavoro, effettivo potere direttivo e di controllo sui dipendenti, utilizzo di propri mezzi e assunzione del rischio d’impresa”.

Nei fatti, alcuni lavoratori avevano contestato la non genuinità del contratto di appalto, chiedendo la ricostituzione del rapporto in capo al committente o, in subordine, l’accertamento della codatorialità.
Il Tribunale aveva respinto.
La Corte d’appello aveva confermato quanto stabilito dal Tribunale, qualificando l’operazione di esternalizzazione come “appalto leggero” valorizzando:
– il numero elevato dei dipendenti (oltre 500);
– la professionalità degli stessi;
– l’alto costo delle retribuzioni rispetto al corrispettivo del servizio.
I lavoratori hanno proposto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte ha censurato l’impostazione della Corte territoriale, sottolineando che:

  • Il solo numero dei dipendenti e la loro professionalità in astratto non bastano a qualificare un appalto come “leggero”.
  • Occorre verificare se i lavoratori costituiscano un gruppo coeso, con legami organizzativi e un know-how specifico preesistente alla cessione, tale da configurarli come struttura autonoma e funzionale (richiamo a Cass. 6256/2019).

Perché è importante questa pronuncia:
– smonta l’idea che l’“appalto leggero” sia automaticamente configurabile ogni volta che vi siano molti lavoratori qualificati, di elevata professionalità;
– ribadisce la necessità di un esame sostanziale della organizzazione del lavoro e della effettiva titolarità dei poteri datoriali;
– rappresenta un monito per imprese e committenti: non basta etichettare un contratto come appalto per sottrarsi ai rischi di somministrazione illecita di manodopera.


Questa decisione si inserisce in un filone sempre più rigoroso, volto a contrastare l’uso distorto degli appalti labour intensive.

In materia di appalti la forma non basta: conta la sostanza!

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